Una differenza di approccio che definirà il futuro di ciò che oggi chiamiamo rete.
Perché parliamo di una terza versione del web?
Perché fin’ora abbiamo avuto due fasi. La prima versione del www è comunemente indicata compresa tra il 1991 e il 2004 con siti molto semplici gestiti direttamente con computer di privati o di aziende direttamente collegati alla rete. La fase due viene fatta partire alla seconda metà del 2000 con un web molto più centralizzato gestito in gran parte da multinazionali come Google, Amazon, Microsoft che gestiscono gran parte del traffico attraverso i loro server. È il web che stiamo usando ora, quello più interattivo e ricco di contenuti di diverso tipo ma ancora abbastanza “stupido”, dove Google e simili provano a capire i contenuti delle pagine con i loro algoritmi spesso con successo ma altrettanto spesso fallendo se le pagine non sono correttamente strutturate “a mano” da chi le ha realizzate.
Il web 3.0 vs Web3
Sembrerebbe una semplice differenza semantica ma in realtà dietro c’è una visione sostanzialmente opposta. La prima è di Tim Berners-Lee, inventore del WWW che ora è il presidente del World Wide Web Consortium (W3C), l’organo di autogoverno e standardizzazione del web. Lui e il suo team stanno propongono una soluzione alle pagine “stupide” con quello che chiama Web 3.0, ovvero un web semantico. Si tratta di far capire meglio cosa c’è su una pagina usando un framework che consenta di definire i concetti base, relazioni e categorie giusto per dirla semplice. Quindi per lui e il W3C si tratta di una visione tecnica, come è sempre stato per loro, senza alcuna implicazione commerciale.
Il Web3 è invece basato su cambiare la situazione attuale basata su sistemi centralizzati che è controllato da poche aziende. Web3 promette di cambiare questa situazione restituendo il potere alle persone e decentralizzando Internet usando la blockchain includendo nuovi protocolli come Ethereum e IPFS, così come altre tecnologie di nuova generazione come zero-knowledge proofs (vedi il video su questo argomento qui) che devono ancora essere sviluppate in forma completa ma sono state teorizzate in documenti accademici per anni. Web3 è pensato per renderlo meno vulnerabile alla manipolazione da parte di entità centralizzate come governi e corporazioni. Questo perché nessuna singola entità controlla il sistema o lo possiede.
Cosa succederà?
Al momento sembra ancora tutto da stabilire e nessuno sa veramente come si svilupperà questa terza versione del web ma è probabile che la visione più tecnica di Beners-Lee non riuscirà a prevalere su quella più anarchica-commerciale dei “profeti” della blockchain. Potrebbe esserci anche una fusione tra le due.
Quello che per ora è certo sono i soldi investiti sulle startup basate su blockchain – criptovalute, aumentati a dismisura. Inoltre molti CEO di importanti (ora) società della Silicon Valley hanno dato le dimissioni per andare a lavorare per società sconosciute (per ora) con una prospettiva di sviluppo sul Web3. Sappiamo che queste persone sono visionari che riescono a vedere almeno dieci anni in avanti e quindi sono un buon riferimento. Secondo PitchBook che si occupa di analisi del mercato, nel 2021 i venture capitalist hanno investito su start up di criptovalute per un totale di circa 24 miliardi di euro, più di tutti gli investimenti fatti nei 10 anni precedente messi insieme.
È quindi solo una questione di tempo prima che saremo in pieno Web3, sarà una cosa graduale, ormai in tanti hanno sentito dell’esplosione nel 2021 degli NFT, qualcuno ha capito (più o meno) cos’è la blockchain e le cose proseguiranno spedite in questa direzione.
Le opportunità e i rischi
Da una parte ci sono i tecno-entusiasti e grandi investitori dall’altra ci sono quelli che pensano al Web3 come una grande truffa o nella migliore delle ipotesi come un sistema per rendere ancora più ricche persone già ricche.
Il Web3 dovrebbe essere il modello che tramite meccanismi di consenso come la blockchain, permetterà di fare qualsiasi operazione online senza necessità di ricorrere ai servizi e alle infrastrutture centralizzate come i governi, notai, le banche, i gestori delle carte di credito o in generale delle grandi aziende basate su internet. Utilizzerà cioè una tecnologia basata su una rete di computer che comunicano tra loro e convalidano e registrano le transazioni senza intervento umano e senza una supervisione centralizzata, quello che viene chiamata blockchain. Questo permetterebbe di avere un’unica identità digitale per effettuare acquisti, firmare contratti, cedere in licenza oggetti digitali a molte altre applicazioni.
I contrari a questo approccio pensano però che sia proprio l’assenza di una gestione centralizzata un pericolo perché non ci sarebbero garanzie di protezione dei consumatori in quanto, almeno al momento, è facile usare identità fasulle. È uno dei problemi attuali con gli NFT, si stima che oltre il 70% sia stato messo in vendita non dall’autore originale ma da qualcuno che ne ha preso l’identità rendendo ovviamente il suo valore nullo. Anche la creazione di criptovalute senza controllo è un rischio, ne esistono ormai a migliaia, ognuno può facilmente creare la sua ma in tante sono scomparse altrettanto facilmente, portandosi però via soldi reali.
Chi non crede nella decentralizzazione vede la presenza di grandi investitori come “predatori” aumentando una preoccupazione di bolla speculativa, una situazione simile a quella che ha portato al crollo delle .com tra il 2000 e il 2001.
Inoltre è indubbio che nonostante si parli di decentralizzazione in realtà ci sono già aziende che centralizzano la gestione di portafogli di criptovalute come MetaMask e degli NFT come OpenSea. Quindi la vera decentralizzazione sembra una pura utopia.
La direzione
La direzione sembra segnata, blockchain, criptovalute, NFT, metaverso, sono qui per restare ma la strada è ancora incerta, nessuno al momento sa ancora come queste tecnologie si evolveranno e come interagiranno tra loro. Se ci sarà l’esplosione della bolla speculativa, come in tanti credono, il rischio è che questa possa portarsi dietro anche molti innocenti ma in ogni modo, come successe tra il 2000 e il 2001, lascerà una base tecnologica sicuramente diversa da quella attuale.